Era il 2004 e l’allora mio socio Roberto mi disse: “vai al porto perché sta arrivando un ragazzo in prova per il fine settimana, ci dobbiamo parlare per definire questa stagione“. Presi il nostro furgone, un Ford torneo verde bottiglia con tanti problemi meccanici, ma eravamo all’inizio, le spese erano tante e quindi dovevamo accontentarci.
Chiamo questo ragazzo per spiegargli dove incontrarci e lui al telefono mi risponde: “ah non ti preoccupare mi riconosci subito, sono un omone grosso grosso col giubbotto di pelle“, questo è stato il primo contatto che ho avuto con Fabione.
Ci incontriamo è noto che zoppica, mi spiega di essere caduto in moto e che si è appena tolto il gesso… ora dopo tanti anni sono certo che se lo fosse tolto da solo a casa con martello e scalpello! 😂
Il giorno seguente Fabione è già in barca operativo e mentre rientriamo mi chiede di mettersi ai comandi, non ci vedo nulla di male e lo lascio fare, so che possiede una barca per la pesca delle vongole, ma la nostra chiamata Giulia Andrea, è un gozzo con motore e timone sottodimensionati e per questo molto complicata da gestire in manovra, così approcciando al pontile mi faccio avanti per riprendere i comandi, ma Fabione mi dice: “perché? Non posso fare io?!” 😱 Titubo, ma poi acconsento con un po’ di ansia… risultato: manovra perfetta! Ovviamente assunto immediatamente e da lì inizia la storia del Diving in Elba di Riccardo e Fabio. 😁
Eravamo giovani e spensierati entusiasti del nostro lavoro ma anche con tanta voglia di divertirci al lavoro e fuori. Eravamo un gran bel gruppo: c’erano Alessandro “ il Corcella” e Claudia, c’era Lisa che poi sarebbe diventata la moglie di Fabione, c’era Sandro prima che emigrasse in Svizzera, Manuel che compariva nei weekend è sempre quando c’era qualche serata di festa, Mariolone che seminava la sua roba in giro ovunque, Ale il “Tigna” mio inseparabile amico che passava le sue vacanze all’Elba solo per aiutarci al diving e poi c’era Giacomo Baldi “il compare” di Fabio con il quale aveva un rapporto di affetto misto a “lo vorrei strangolare” che li aveva fatti soprannominare Shrek e Ciuchino (dal film Disney Shreck), tanto che oggi a distanza di quasi vent’anni Giacomo, ora proprietario del Enfola Diving, è ancora conosciuto da tutti col soprannome di Ciuchino.
Non c’era ancora Fede il Makako ma già lo stavo stressando perché venisse a lavorare da noi e da lì a poco sarebbe arrivato, per non andare via più! L’altra socia era Valeria anche lei arrivata fresca fresca da Milano e con poca esperienza di mare, quindi tutto era nuovo e soprattutto condividevamo tutti una grande
meravigliosa avventura con lo scopo di riportare il Diving in Elba ad essere un centro immersioni di successo, dopo averlo acquistato in condizioni precarie dal precedente proprietario.
Negli anni successivi tante cose sono cambiate potremmo dire che tutto è cambiato, i soci di allora hanno cambiato vita, lo staff è cambiato, le imbarcazioni di allora non ci sono più, sono state tutte sostituite dai modernissimi gommoni King, Bruto e Rocco, è stato aperto un centro nuovo alla Biodola e al posto del Ford ora abbiamo 2 super furgoni e il “Porterino” che nessuno si spiega come Fabione ci sia mai potuto entrare!
Per questo oggi ho un nodo in gola nel salutare Fabio che insieme a me ha sudato e lottato per arrivare a portare il Diving in Elba dov’è adesso. Grazie Fabio è stato un meraviglioso percorso insieme, sei stato come un fratello e sempre lo sarai, ora puoi goderti la subacquea in maniera più rilassata… Diciamo da cliente! Sono sicuro che spesso ti vedrò al Diving in Elba per qualche bel tuffo staff o solo per un saluto.
Ora è il momento di guardare al futuro, di puntare su forze giovani per consolidare e sviluppare ancora di più la nostra attività e per questo sono orgoglioso di dare il benvenuto a Juri e Sergio. Già da anni partecipano alla vita del diving e ora entrano a far parte della società con un grande entusiasmo e la voglia di far diventare la subacquea una professione a 360°. Veniamo ad anni difficili: il covid, la guerra, ecc. hanno cambiato il mondo facendo lievitare i costi di gestione di un’azienda, quindi non posso che lodare i miei due nuovi soci per la scommessa che hanno fatto e sono sicuro che sarà una scommessa vincente!
Tra poche settimane ripartiremo con una nuova stupenda stagione ricca di tante novità e sicuramente con uno spirito di entusiasmo generale.
Ringrazio tutti i nostri clienti che negli anni ci sono rimasti affezionati e che continuano a sceglierci come il loro centro di immersioni di riferimento. Ringrazio il nostro staff, impossibile citare tutti quelli che hanno reso grande il Diving in Elba in questi 20 anni! Di nuovo un caro saluto e un in bocca lupo a Fabione per la sua nuova vita ed io resto qui ad aspettarvi.
L’Occhio di Santa Lucia è l’incantevole frutto del “lavoro ingegneristico” di una specie marina, un mollusco gasteropode della famiglia dei Turbinidi, oggi chiamato Bolma Rugosa (Linnaeus, 1767), che vive in quasi tutto il Mediterraneo e anche in alcuni mari tropicali. La sua conchiglia è riconoscibile per la forma a spirale molto allargata, che insieme alle pronunciate sporgenze presenti negli esemplari più giovani, ben meritava il nome generico di “Astraea” con il quale veniva classificata anticamente dal nome greco Αστραια (Astraia), latinizzato in Astraea e basato sul termine ἄστρον (astron, “stella”) il cui significato può essere associato a quello di “astrale”, “stellare” o “stellato”.
Curiosità: Nella mitologia greca, Astrea era la dea della giustizia e dell’innocenza, figlia di Zeus e Temi, che per sottrarsi al male che pervadeva il mondo, fuggì in cielo, diventando la costellazione della Vergine.
Questo particolare mollusco secerne una sostanza che gli permette di costruire non solo la sua casa (la conchiglia) ma anche ciò che noi comunemente chiamiamo Occhio di Santa Lucia, ovvero “la porta d’ingresso” della sua abitazione. L’occhio non è nient’altro che un piccolo opercolo calcareo di forma tondeggiante-ellittica, ricoperto di uno strato corneo, che serve al mollusco per proteggersi durante l’arco della sua vita. L’opercolo è costituito da un lato esterno convesso e di color arancio-rosato e da una parte interna (a contatto con l’animale) piatta e di colore bianco, con una spirale più scura verso il centro, che ricorda appunto la forma di un occhio. Alla morte del mollusco, l’opercolo si distacca e si “concede” alla volontà delle correnti marine, finendo spesso la sua corsa nascosto nel fondo del mare. Ma talvolta viene trasportato fin sulla spiaggia oppure finisce nelle reti di qualche fortunato pescatore.
La somiglianza di questo piccolo opercolo calcareo ad un occhio, ha fatto sì che diventasse nel tempo uno degli amuleti più popolari contro la sorte avversa, soprattutto tra la gente di mare, che lo ha chiamato nei più svariati modi:
Occhio di Santa Lucia in Italia (con la variante sarda Sa Perda ‘e S’Ogu)
Occhio di Shiva in India
Moneta di Sirena in Sudafrica
Occhio di Naxos in Grecia
Occhio di Gatto in Australia e Nuova Zelanda
Ma perché l’occhio?
Gli occhi, si sa, non mentono mai. Il famosissimo detto “gli occhi sono lo specchio dell’anima” allude infatti alla capacità dell’occhio di riflettere sentimenti, emozioni e sensazioni che ci pervadono. La convinzione che l’occhio sia rivelatore del temperamento delle persone è diffusa tanto quanto la convinzione che l’occhio, in quanto “finestra che si apre sul mondo”, rappresenti il punto di uscita dei pensieri, sia positivi che negativi. Questi ultimi specialmente, manifestati attraverso lo sguardo, sono ritenuti capaci di generare effetti nefasti su coloro che sono oggetto di invidia o di avversione.
Il “malocchio” (occhio malevolo) è infatti il nome che si è dato alla malasorte lanciata attraverso lo sguardo alle persone invidiate o detestate. Per neutralizzarne gli effetti si è ricorso, nella storia di tutte le società umane, a degli oggetti che si pensava fossero capaci di proteggere da mali o da pericoli, quali gli amuleti o talismani. Sono molti gli oggetti di questo tipo che si pensa abbiano la capacità di contrastare il malocchio, ma quelli che ricordano la forma di un occhio restano tra i più diffusi.
In India, ad esempio, questo piccolo opercolo viene considerato la rappresentazione del “terzo occhio” della divinità Shiva e viene usato come un potente amuleto al quale è stato attribuito un effetto benefico sui flussi energetici che attraversano tutto il nostro corpo.
In Italia è stato associato al mito di Santa Lucia, di cui sono state tramandate svariate trasposizioni.
Una delle più accreditate racconta che, nel IV secolo d.c., la giovane Lucia di nobile famiglia siracusana, grazie alle preghiere rivolte in pellegrinaggio sulla tomba della martire catanese Sant’Agata, ottenne la guarigione della madre affetta da una malattia emorragica incurabile. Dopo il miracolo, Lucia esternò alla madre la sua ferma decisione di consacrarsi a Cristo, e di donare il suo patrimonio ai poveri e, per allontanare i pretendenti e non essere così distolta dalla sua fede, si strappò gli occhi e li gettò in mare. Completamente dedita alla preghiera, Lucia compì numerosi miracoli. Per ricompensarla della sua devozione, la Santa Vergine Maria le restituì la vista donandole occhi bellissimi e luminosi. Per questa ragione Santa Lucia è considerata per tradizione la protettrice della vista. Il suo culto viene osservato in tutta Italia e in molte parti del mondo.
In alcune città del nord Italia, ad esempio, esiste una tradizione legata ai “doni di Santa Lucia”, che si sostituisce a Babbo Natale e porta i regali a tutti i bambini il giorno della sua celebrazione, il 13 dicembre, per folclore il giorno più corto dell’anno.
A Messina, la mia meravigliosa città d’origine, il 13 dicembre non si mangia il pane né altri cibi preparati con farina di frumento, per commemorare la fine della carestia del 1646 quando, secondo la leggenda, proprio il giorno di Santa Lucia, arrivò in porto un bastimento carico di mais. A parte i classici arancini di riso, ogni panificio prepara dei particolari panini, impastati con farina gialla di mais, che vedono la luce solo una volta l’anno… e sono buonissimi! Ricordo che i primi anni che ero via, chiedevo alla mia mamma di comprare e congelare per me alcuni panini di Santa Lucia, che avrei mangiato poi, magari nel periodo delle ferie di Natale.
Tornando all’Occhio di Santa Lucia, è curioso come sia diventato nel tempo uno tra i più diffusi talismani o amuleti tipici della gente di mare. In particolare tra gli isolani era molto comune, insieme a oggetti vari realizzati con i coralli. Trasformato in un piccolo pendente, custode di simboli sacri e pagani, è considerato un dono della natura ed un segno di appartenenza e riconoscimento per le persone che vengono dal mare.
Ma non solo. E’ anche un simbolo di conoscenza e saggezza, infatti la spirale simboleggia lo sviluppo e il movimento. Gli si associa inoltre il potere di “occhio buono” capace di bloccare l’effetto dell’ “occhio malevolo” (malocchio o “evil eye”). La leggenda narra che l’Occhio di Santa Lucia sia capace di vigilare sul suo portatore e di proteggerlo dalle forze maligne, incanalando ed accrescendo le energie positive, ed esercitando quindi un effetto benefico per la persona nel suo complesso, aiutando a raggiungere l’equilibrio e l’armonia tra corpo e mente.
Tralasciando la differenza tra amuleto e talismano (perché dovrei partire dagli studi di Plinio il Giovane e la mia ricerca diventerebbe un trattato), posso dire che, nel corso degli anni, ho visto tanti amici subbi portare al collo un ciondolo di questo tipo e qualcuno di loro mi ha anche spiegato le convinzioni secondo le quali avrebbe tratto giovamento dall’indossare o stringere tra le mani un Occhio di Santa Lucia, nei momenti difficili, quando si sente il bisogno di allontanare la sorte avversa o semplicemente quando si voglia un po’ di fortuna in più. Sempre secondo questi racconti, se un giorno ci si dovesse rendere conto che l’Occhio ha perso parte dei suoi effetti benefici, seguendo le indicazioni che ogni manuale alchemico che si rispetti fornisce, sarebbe sufficiente immergerlo nuovamente in acqua di mare, di notte, e poi farlo asciugare esponendolo alla luce della luna piena, per fare in modo che si ricarichi di energia positiva.
A proposito di pratiche alchemiche, parlando di leggende che si mescolano con i sentimenti umani, mi sono tornate in mente le parole di un libro, l’Alchimista di Paulo Coelho che, a questo punto, mi sembra significativo condividere:
“L’anima del mondo è alimentata dalla felicità degli uomini. O dall’infelicità, dall’invidia, dalla gelosia. Realizzare la propria leggenda personale è il solo dovere degli uomini. Tutto è una sola cosa. E quando vuoi davvero qualcosa, l’intero universo cospira affinché chi lo desidera con tutto sé stesso possa riuscire a realizzare i propri sogni, per quanto schiocchi possano sembrare. Perché sono nostri e soltanto noi sappiamo quanto ci costa sognarli.”
L’Occhio di Santa Lucia e l’Elba
La prima volta che ho ascoltato il briefing pre-immersione per la Secca di Santa Lucia, a nord di Capo Bianco, sono rimasto meravigliato dalle sue coincidenze… Intanto, il nome del sito d’immersione… in passato, quando non esistevano strumenti satellitari per stabilire le coordinate né ecoscandagli per rilevare le variazioni delle profondità, la secca veniva trovata attraverso le mire (punti di riferimento sulla terra ferma visibili dalla barca), che triangolate tra loro, erano in grado di offrire con una certa sicurezza la posizione esatta del sito d’immersione. Ebbene, una di queste mire era proprio la Chiesa di Santa Lucia, posta sull’omonimo colle di Portoferraio. Luogo denso di poesia e dal quale si osserva un tramonto mozzafiato…
Ma non è tutto. Appena ci si immerge, ci si rende subito conto di essere in un luogo fuori dal comune, ricco di vita e con un’altissima bio-diversità. E’ una delle mie immersioni preferite, forse una tra le più belle all’Elba, se non la più bella (da qui il detto: “La Secca di Santa Lucia è l’immersione più bella che ci sia”).
Tornando alle coincidenze, attorno alla Secca di Santa Lucia vive un particolare mollusco, il nostro amico Bolma Rugosa, difficile da osservare di giorno, ma apprezzabile durante le immersioni notturne. Ebbene, alla nostra chiocciolina, la Secca di Santa Lucia deve piacere proprio tanto… oppure piace tanto alle correnti marine, questo non so dirlo con certezza… ma se si guarda con attenzione sul fondo sabbioso attorno alla secca, si potranno scorgere con facilità numerosi Occhi di Santa Lucia, ben visibili, adagiati sulla sabbia.
Queste coincidenze mi hanno sempre dato la sensazione che la Secca di Santa Lucia sia un luogo magico e, ogni volta che sono io a fare il briefing pre-immersione, cerco di trasmettere un po’ di questa magia…
A proposito di coincidenze, Douglas Coupland nel suo libro “Le ultime 5 ore” scrive:
“Le coincidenze sono talmente rare che è quasi come se l’universo fosse progettato unicamente per impedirle. Così quando nella vita vi capita una coincidenza o qualcosa di straordinario, vuol dire che qualcuno o qualcosa si è dato parecchio da fare per realizzarla, ed è per questo che dobbiamo sempre farci caso.”
Vi invito a farci caso. A fare caso a tutti questi meravigliosi opercoli calcarei che affollano la Secca di Santa Lucia. Venite a vederli. Divertitevi ad osservarli, tra un banco di barracuda ed uno di ricciole, tra una murena che condivide la sua tana con un grongo ed uno scorfano che ha fatto di uno spirografo il suo ombrello personale (“Pino l’ombrellino” [cit.]), tra l’esplosione di colori delle pareti di roccia ricoperte di margherite di mare (Parazoanthus Axinellae), intervallate dai gigli di mare (Crinoidi) che non di rado ci sorprendono con il loro nuoto sinuoso, tra nudibranchi colorati e polpi curiosi. Venite a vedere questo ed altro ancora, in un dive spot talmente magico che sembra stato creato dalla penna di J. K. Rowling. E credetemi: non occorrere raccogliere, toccare né tantomeno indossare gli Occhi di Santa Lucia. Lasciamoli lì. Basta guardarli, per beneficiare degli effetti benevoli che a loro vengono associati. Immergersi alla Secca di Santa Lucia vi farà sentire in armonia col mondo ed al riparo dalla cattiva sorte. E se questi effetti positivi dovessero sparire una volta tornati sulla terra ferma? Semplice, basta programmare una nuova immersione alla Secca di Santa Lucia!
La giornata era iniziata con un ritmo molto lento. Dopo un risveglio naturale ed una lunghissima doccia tonificante mi ero concesso anche una ricca colazione al bar sul lungomare, in attesa che arrivasse l’ora del ritrovo.
Oggi, con altri due amici, un uomo ed una donna, sarei partito per un week end lungo all’Isola d’Elba. Il programma era stato curato nei minimi dettagli. Prevedeva partenza alle dieci da Rapallo, traghetto da Piombino alle 13 ed immersione alla Secca del Semaforo alle 15. Tutto schedulato da uno dei miei due compagni di viaggio, ritmando i giusti tempi, senza concederci troppo svago ma nemmeno troppo stress. E come sempre accade, quando non si ha fretta il traffico è scorrevole, non ci sono intoppi e nemmeno lavori in corso. Alle 11 e 30 la mia auto era comodamente parcheggiata alla biglietteria del porto di partenza. Considerato che i biglietti per il transito erano stati prenotati qualche giorno prima, avevamo tutto il tempo per una birra, un panino ed un buon caffè.
Ma una parola tira l’altra ed una birra non fu sufficiente per tutto quel dialogare. Ne ordinammo altre due e perdemmo completamente la misura del tempo, al punto di ricordarci di controllare l’orologio inesorabilmente fuori tempo massimo. Avevamo perso il traghetto.
La rabbia e lo sconcerto per l’incredibile leggerezza furono presto soppiantati dalla impellente necessità di organizzare un velocissimo piano alternativo. L’immediata corsa verso la biglietteria ci fece rinvenire panino e birre ma ci diede comunque l’opportunità di prenotare per la corsa successiva, quella delle 13 e 30. Al giorno d’oggi, la frequenza del traghetto che collega Piombino con l’Isola d’Elba è decisamente superiore a quella di un treno Frecciarossa che unisce due grandi città italiane e anche questo ha contribuito ad una crescita esponenziale del turismo e dei servizi ad esso connesso di questa prestigiosa e da sempre ambita meta vacanziera. Da qualche anno, organizzare un fine settimana di immersioni su questa meravigliosa oasi dell’arcipelago toscano non è più un’idea bislacca né tantomeno un tragico tour de force. Quanto piuttosto una fantastica opportunità di svago, relax e puro divertimento.
Ritornando al nostro piano d’emergenza, avevamo ancora una piccola formalità da espletare, quella di comunicare il nostro ritardo al diving center. Si prospettavano due opzioni: la prima era di inventarci un traffico tentacolare con tanto di incidente che aveva provocato il blocco del tratto autostradale mentre la seconda era di raccontare la verità, cospargerci il capo di cenere e fare l’inevitabile figura barbina che sarebbe stata oggetto di scherno per l’intera nostra villeggiatura. Dal momento che i ragazzi del centro immersioni erano nostri amici, optammo per quest’ultima, vuoi per non raccontare una bugia a dei compagni di immersione ma soprattutto perché eravamo certi della loro comprensione. Ma, a dire il vero, Fabione non la prese molto bene. Si era scervellato tutta la mattina con la pianificazione del pomeriggio subacqueo, per incastrare le uscite dei gommoni in modo da garantircene uno appositamente per noi. E poi aveva quasi pregato Juri, un ragazzo del suo staff, a sobbarcarsi un giro suppletivo in compagnia di un chiassoso gruppo di subacquei del Canton Ticino per fare in modo di essere, nientepopodimeno che lui, il nostro accompagnatore.
Però Fabione, che insieme a Ricky gestisce Diving in Elba, è un burbero dal cuore d’oro e non riesce davvero a tenere il muso per più di due minuti. Così, mentre stavamo passando dalle richieste di perdono all’essere presi amabilmente per il culo da lui, finalmente imbarcammo la mia auto sul traghetto cercando una posizione strategica di stallo per poter essere tra i primi a scendere, una volta giunti a destinazione.
Nel momento in cui arrivammo, alla velocità della luce, nel parcheggio dell’Hotel Airone, che oltre ad ospitare una delle due sedi del centro immersioni sarebbe stata casa nostra in questi pochi giorni di vacanza, fummo colti da un’idea geniale che ci avrebbe permesso di recuperare in un attimo tutto il tempo perso a causa della nostra leggerezza. Decidemmo di posticipare tutti gli aspetti burocratici del check-in per scapicollarci, come delle saette, dritti verso il diving. Dal cui interno, Fabione, conla maglietta madida di sudore ci guardò con un misto di stupore e felicità.
Era finalmente ora di assemblare le nostre attrezzature subacquee ed imbarcarci, destinazione Capo dell’Enfola. La secca del Semaforo ci stava aspettando. Ma questo è un pezzo di storia che leggerete nel prossimo racconto.
Questo periodo di lock down ha messo in evidenza come la presenza dell’umanità, cosi com’è organizzata adesso, sia invadente e disturbante per la natura. Molti animali hanno ripreso spazi che gli erano stati tolti dalla vita frenetica di noi esseri umani. Ma non solo la vita animale e vegetale si è ripresa, le acque e i cieli sono tornati ad essere limpidi e il silenzio è tornato a fare da padrone in zone dove non c’era più pace.
Approfitto di questo periodo di reclusione forzata per riprendere la rubrica “Animali fantastici dove trovarli, versione scuba diving” che per varie vicissitudini avevo abbandonato diverso tempo fa. Spero che vi faccia piacere visto che, quest’anno, dovremo tutti aspettare un po più del normale per tornare in quel fantastico mondo che si trova sotto la superficie del mare.
Il mare e le spiagge hanno la capacità di inebriare tutti i nostri sensi: il rumore delle onde che si infrangono sulla riva, la sensazione di sabbia bagnata tra le dita dei piedi, il sapore di sale che insaporisce le brezze marine, lo sconfinato blu che si stende davanti ai nostri occhi.
Io adoro Halloween e la trovo una festa geniale! Affrontare le paure impersonandole e ridendoci su, secondo me, è il miglior modo per esorcizzarle e renderle inoffensive.
Lo so che per la maggior parte dei subacquei la paura più grande è che salti l’immersione…ma so anche che come tutti i personaggi che orbitano intorno al mare il “Subacqueo” adora raccontare storie, per lo più vere ma, diciamocelo, spesso arricchite di particolari per renderle più interessanti, come vuole la migliore tradizione marinaresca. E così ho pensato di fare un giro su internet e vedere quante storie di fantasmi, o meglio, leggende metropolitane a tema subacqueo riuscivo a trovare. La prima ovviamente è stata quella trita e ritrita, e assolutamente poco credibile, del subacqueo risucchiato dal Canadair e ritrovato fra i rami di un albero scampato a un incendio…che noia.
Il Parco ha aperto ai diving center la fruizione subacquea contingentata per la scoperta dei fondali più belli dell’area protetta dell’isola. Questo risultato è il frutto di una proficua collaborazione tra istituzioni, forze dell’ordine e operatori del settore e del CED-Consorzio Elbano Diving. I magnifici fondali proibiti saranno finalmente visibili a subacquei esperti e a piccoli gruppi accompagnati da guide ambientali subacquee. Si tratta di una fruizione sperimentale, che è stata preceduta da un monitoraggio scientifico, e per la quale sono stati definiti i percorsi di immersione e le regole di accesso.
Le immersioni possibili all’Isola di Pianosa sono attualmente 5 su altrettante boe dedicate esclusivamente all’ormeggio delle imbarcazioni diving autorizzate.
Tutte le immersioni si trovano sul lato est dell’isola sul quale è presente anche un piccolo centro abitato un tempo occupato dalle famiglie dei dipendenti del carcere e adesso quasi completamente disabitato. Le boe sono quelle riportate nella cartina qua sotto.
Si é conclusa oggi la giornata di pulizia delle spiagge di Marepulito 2019 arrivati ormai alla settima edizione, siamo contenti di dire che le scuole, i comuni e gli stessi diving center del CED partecipano sempre più numerosi a questa iniziativa. Circa 1000 tra studenti insegnanti, volontari, subacquei , rappresentanti di varie associazioni e istituzioni hanno partecipato oggi a questa giornata di pulizia. Il risultato è la raccolta di circa 1800 kg di rifiuti fra cui i più bizzarri sono stati trovati dai subacquei...corpi morti artigianali abbandonati, sedie sdraio, cime e attrezzi da pesca persi ma soprattutto sopra e sotto l'acqua il più rappresentato dei rifiuti è stato la plastica in tutte le sue forme.