La leggenda dell’Occhio di Santa Lucia
ricerca semi-seria tra storia e mito
L’Occhio di Santa Lucia è l’incantevole frutto del “lavoro ingegneristico” di una specie marina, un mollusco gasteropode della famiglia dei Turbinidi, oggi chiamato Bolma Rugosa (Linnaeus, 1767), che vive in quasi tutto il Mediterraneo e anche in alcuni mari tropicali. La sua conchiglia è riconoscibile per la forma a spirale molto allargata, che insieme alle pronunciate sporgenze presenti negli esemplari più giovani, ben meritava il nome generico di “Astraea” con il quale veniva classificata anticamente dal nome greco Αστραια (Astraia), latinizzato in Astraea e basato sul termine ἄστρον (astron, “stella”) il cui significato può essere associato a quello di “astrale”, “stellare” o “stellato”.
Curiosità: Nella mitologia greca, Astrea era la dea della giustizia e dell’innocenza, figlia di Zeus e Temi, che per sottrarsi al male che pervadeva il mondo, fuggì in cielo, diventando la costellazione della Vergine.
Questo particolare mollusco secerne una sostanza che gli permette di costruire non solo la sua casa (la conchiglia) ma anche ciò che noi comunemente chiamiamo Occhio di Santa Lucia, ovvero “la porta d’ingresso” della sua abitazione. L’occhio non è nient’altro che un piccolo opercolo calcareo di forma tondeggiante-ellittica, ricoperto di uno strato corneo, che serve al mollusco per proteggersi durante l’arco della sua vita. L’opercolo è costituito da un lato esterno convesso e di color arancio-rosato e da una parte interna (a contatto con l’animale) piatta e di colore bianco, con una spirale più scura verso il centro, che ricorda appunto la forma di un occhio. Alla morte del mollusco, l’opercolo si distacca e si “concede” alla volontà delle correnti marine, finendo spesso la sua corsa nascosto nel fondo del mare. Ma talvolta viene trasportato fin sulla spiaggia oppure finisce nelle reti di qualche fortunato pescatore.
La somiglianza di questo piccolo opercolo calcareo ad un occhio, ha fatto sì che diventasse nel tempo uno degli amuleti più popolari contro la sorte avversa, soprattutto tra la gente di mare, che lo ha chiamato nei più svariati modi:
Occhio di Santa Lucia in Italia (con la variante sarda Sa Perda ‘e S’Ogu)
Occhio di Shiva in India
Moneta di Sirena in Sudafrica
Occhio di Naxos in Grecia
Occhio di Gatto in Australia e Nuova Zelanda
Ma perché l’occhio?
Gli occhi, si sa, non mentono mai. Il famosissimo detto “gli occhi sono lo specchio dell’anima” allude infatti alla capacità dell’occhio di riflettere sentimenti, emozioni e sensazioni che ci pervadono. La convinzione che l’occhio sia rivelatore del temperamento delle persone è diffusa tanto quanto la convinzione che l’occhio, in quanto “finestra che si apre sul mondo”, rappresenti il punto di uscita dei pensieri, sia positivi che negativi. Questi ultimi specialmente, manifestati attraverso lo sguardo, sono ritenuti capaci di generare effetti nefasti su coloro che sono oggetto di invidia o di avversione.
Il “malocchio” (occhio malevolo) è infatti il nome che si è dato alla malasorte lanciata attraverso lo sguardo alle persone invidiate o detestate. Per neutralizzarne gli effetti si è ricorso, nella storia di tutte le società umane, a degli oggetti che si pensava fossero capaci di proteggere da mali o da pericoli, quali gli amuleti o talismani. Sono molti gli oggetti di questo tipo che si pensa abbiano la capacità di contrastare il malocchio, ma quelli che ricordano la forma di un occhio restano tra i più diffusi.
In India, ad esempio, questo piccolo opercolo viene considerato la rappresentazione del “terzo occhio” della divinità Shiva e viene usato come un potente amuleto al quale è stato attribuito un effetto benefico sui flussi energetici che attraversano tutto il nostro corpo.
In Italia è stato associato al mito di Santa Lucia, di cui sono state tramandate svariate trasposizioni.
Una delle più accreditate racconta che, nel IV secolo d.c., la giovane Lucia di nobile famiglia siracusana, grazie alle preghiere rivolte in pellegrinaggio sulla tomba della martire catanese Sant’Agata, ottenne la guarigione della madre affetta da una malattia emorragica incurabile. Dopo il miracolo, Lucia esternò alla madre la sua ferma decisione di consacrarsi a Cristo, e di donare il suo patrimonio ai poveri e, per allontanare i pretendenti e non essere così distolta dalla sua fede, si strappò gli occhi e li gettò in mare. Completamente dedita alla preghiera, Lucia compì numerosi miracoli. Per ricompensarla della sua devozione, la Santa Vergine Maria le restituì la vista donandole occhi bellissimi e luminosi. Per questa ragione Santa Lucia è considerata per tradizione la protettrice della vista. Il suo culto viene osservato in tutta Italia e in molte parti del mondo.
In alcune città del nord Italia, ad esempio, esiste una tradizione legata ai “doni di Santa Lucia”, che si sostituisce a Babbo Natale e porta i regali a tutti i bambini il giorno della sua celebrazione, il 13 dicembre, per folclore il giorno più corto dell’anno.
A Messina, la mia meravigliosa città d’origine, il 13 dicembre non si mangia il pane né altri cibi preparati con farina di frumento, per commemorare la fine della carestia del 1646 quando, secondo la leggenda, proprio il giorno di Santa Lucia, arrivò in porto un bastimento carico di mais. A parte i classici arancini di riso, ogni panificio prepara dei particolari panini, impastati con farina gialla di mais, che vedono la luce solo una volta l’anno… e sono buonissimi! Ricordo che i primi anni che ero via, chiedevo alla mia mamma di comprare e congelare per me alcuni panini di Santa Lucia, che avrei mangiato poi, magari nel periodo delle ferie di Natale.
Tornando all’Occhio di Santa Lucia, è curioso come sia diventato nel tempo uno tra i più diffusi talismani o amuleti tipici della gente di mare. In particolare tra gli isolani era molto comune, insieme a oggetti vari realizzati con i coralli. Trasformato in un piccolo pendente, custode di simboli sacri e pagani, è considerato un dono della natura ed un segno di appartenenza e riconoscimento per le persone che vengono dal mare.
Ma non solo. E’ anche un simbolo di conoscenza e saggezza, infatti la spirale simboleggia lo sviluppo e il movimento. Gli si associa inoltre il potere di “occhio buono” capace di bloccare l’effetto dell’ “occhio malevolo” (malocchio o “evil eye”). La leggenda narra che l’Occhio di Santa Lucia sia capace di vigilare sul suo portatore e di proteggerlo dalle forze maligne, incanalando ed accrescendo le energie positive, ed esercitando quindi un effetto benefico per la persona nel suo complesso, aiutando a raggiungere l’equilibrio e l’armonia tra corpo e mente.
Tralasciando la differenza tra amuleto e talismano (perché dovrei partire dagli studi di Plinio il Giovane e la mia ricerca diventerebbe un trattato), posso dire che, nel corso degli anni, ho visto tanti amici subbi portare al collo un ciondolo di questo tipo e qualcuno di loro mi ha anche spiegato le convinzioni secondo le quali avrebbe tratto giovamento dall’indossare o stringere tra le mani un Occhio di Santa Lucia, nei momenti difficili, quando si sente il bisogno di allontanare la sorte avversa o semplicemente quando si voglia un po’ di fortuna in più. Sempre secondo questi racconti, se un giorno ci si dovesse rendere conto che l’Occhio ha perso parte dei suoi effetti benefici, seguendo le indicazioni che ogni manuale alchemico che si rispetti fornisce, sarebbe sufficiente immergerlo nuovamente in acqua di mare, di notte, e poi farlo asciugare esponendolo alla luce della luna piena, per fare in modo che si ricarichi di energia positiva.
A proposito di pratiche alchemiche, parlando di leggende che si mescolano con i sentimenti umani, mi sono tornate in mente le parole di un libro, l’Alchimista di Paulo Coelho che, a questo punto, mi sembra significativo condividere:
“L’anima del mondo è alimentata dalla felicità degli uomini. O dall’infelicità, dall’invidia, dalla gelosia. Realizzare la propria leggenda personale è il solo dovere degli uomini. Tutto è una sola cosa. E quando vuoi davvero qualcosa, l’intero universo cospira affinché chi lo desidera con tutto sé stesso possa riuscire a realizzare i propri sogni, per quanto schiocchi possano sembrare. Perché sono nostri e soltanto noi sappiamo quanto ci costa sognarli.”
L’Occhio di Santa Lucia e l’Elba
La prima volta che ho ascoltato il briefing pre-immersione per la Secca di Santa Lucia, a nord di Capo Bianco, sono rimasto meravigliato dalle sue coincidenze… Intanto, il nome del sito d’immersione… in passato, quando non esistevano strumenti satellitari per stabilire le coordinate né ecoscandagli per rilevare le variazioni delle profondità, la secca veniva trovata attraverso le mire (punti di riferimento sulla terra ferma visibili dalla barca), che triangolate tra loro, erano in grado di offrire con una certa sicurezza la posizione esatta del sito d’immersione. Ebbene, una di queste mire era proprio la Chiesa di Santa Lucia, posta sull’omonimo colle di Portoferraio. Luogo denso di poesia e dal quale si osserva un tramonto mozzafiato…
Ma non è tutto. Appena ci si immerge, ci si rende subito conto di essere in un luogo fuori dal comune, ricco di vita e con un’altissima bio-diversità. E’ una delle mie immersioni preferite, forse una tra le più belle all’Elba, se non la più bella (da qui il detto: “La Secca di Santa Lucia è l’immersione più bella che ci sia”).
Tornando alle coincidenze, attorno alla Secca di Santa Lucia vive un particolare mollusco, il nostro amico Bolma Rugosa, difficile da osservare di giorno, ma apprezzabile durante le immersioni notturne. Ebbene, alla nostra chiocciolina, la Secca di Santa Lucia deve piacere proprio tanto… oppure piace tanto alle correnti marine, questo non so dirlo con certezza… ma se si guarda con attenzione sul fondo sabbioso attorno alla secca, si potranno scorgere con facilità numerosi Occhi di Santa Lucia, ben visibili, adagiati sulla sabbia.
Queste coincidenze mi hanno sempre dato la sensazione che la Secca di Santa Lucia sia un luogo magico e, ogni volta che sono io a fare il briefing pre-immersione, cerco di trasmettere un po’ di questa magia…
A proposito di coincidenze, Douglas Coupland nel suo libro “Le ultime 5 ore” scrive:
“Le coincidenze sono talmente rare che è quasi come se l’universo fosse progettato unicamente per impedirle. Così quando nella vita vi capita una coincidenza o qualcosa di straordinario, vuol dire che qualcuno o qualcosa si è dato parecchio da fare per realizzarla, ed è per questo che dobbiamo sempre farci caso.”
Vi invito a farci caso. A fare caso a tutti questi meravigliosi opercoli calcarei che affollano la Secca di Santa Lucia. Venite a vederli. Divertitevi ad osservarli, tra un banco di barracuda ed uno di ricciole, tra una murena che condivide la sua tana con un grongo ed uno scorfano che ha fatto di uno spirografo il suo ombrello personale (“Pino l’ombrellino” [cit.]), tra l’esplosione di colori delle pareti di roccia ricoperte di margherite di mare (Parazoanthus Axinellae), intervallate dai gigli di mare (Crinoidi) che non di rado ci sorprendono con il loro nuoto sinuoso, tra nudibranchi colorati e polpi curiosi. Venite a vedere questo ed altro ancora, in un dive spot talmente magico che sembra stato creato dalla penna di J. K. Rowling. E credetemi: non occorrere raccogliere, toccare né tantomeno indossare gli Occhi di Santa Lucia. Lasciamoli lì. Basta guardarli, per beneficiare degli effetti benevoli che a loro vengono associati. Immergersi alla Secca di Santa Lucia vi farà sentire in armonia col mondo ed al riparo dalla cattiva sorte. E se questi effetti positivi dovessero sparire una volta tornati sulla terra ferma? Semplice, basta programmare una nuova immersione alla Secca di Santa Lucia!
Sergio Sardo